
Per me, è stata una liberazione.
Potrebbe sembrare strano, ma in passato non sono mai stato veramente solo. Ho sempre avuto una compagna al mio fianco, ma quella che dall’esterno poteva sembrare una vita di coppia appagante, per me si traduceva spesso in una prigione dorata.
Mi sentivo spesso in gabbia, costretto in schemi che non mi appartenevano, in relazioni pian piano sempre più soffocanti dove la mia individualità veniva lentamente annullata.
E così, ho scelto la solitudine.
E paradossalmente, è stato proprio stando solo che ho scoperto la vera libertà.
La libertà di esprimere il mio “caos creativo”, ad esempio. La mia casa non è impeccabilmente ordinata, anzi, sembrerebbe a un primo sguardo un campo di battaglia, perennemente pari a un trasloco. Ma è pulita, specchio del mio inconscio dove, in un apparente disordine, ogni cosa ha il suo posto. Questo mio “disordine ordinato” è un riflesso della mia personalità, un laboratorio dove le idee si mescolano e prendono forma in modo apparentemente casuale. Un luogo dove mi sento libero di esprimermi senza costrizioni, circondato da oggetti che raccontano la mia storia e le mie passioni.
E in questo spazio, la solitudine si inserisce perfettamente. La libertà di organizzare le mie giornate senza dover rendere conto a nessuno, il silenzio che a volte avvolge la casa e che mi permette di ascoltare i miei pensieri, la possibilità di dedicarmi alla meditazione, alla lettura, alla cura del mio corpo. Non rinnego i momenti in cui mi dedicavo completamente all’altro ma c’era sempre quella sensazione di partecipare a una gara, una gara in cui dimostrare di essere sempre al meglio, sempre in forma, mai debole.
Guardarsi allo specchio e dirsi “non sono male” non è una questione di vanità, ma di puro piacere personale. Vedere il mio viso rilassato e ben curato, il mio corpo sano, pur sovrappeso, anche in una semplice tuta, mi dà un senso di soddisfazione e di armonia.
Ma attenzione, c’è una differenza sostanziale tra “stare soli” e “sentirsi soli”. E anche chi, come me, ha fatto della solitudine una scelta consapevole, a volte può sperimentare quella sensazione di vuoto che nasce dalla mancanza di una connessione profonda con un altro essere umano, forse memore di quei momenti passati, anche se brevi, con la persona che amavo, con l’amico o l’amica ora scomparsi in un mondo lontano dalla mia vita di ogni giorno.
Perché la verità è che non è facile trovare qualcuno con cui ci sia vera sintonia. Qualcuno con cui poter essere sé stessi, senza filtri e senza maschere. Qualcuno che capisca il tuo silenzio, che condivida le tue passioni, che rispetti i tuoi spazi, il tuo stile di vita e, perché no, anche il tuo “caos creativo”. Qualcuno con cui la comunicazione sia fluida e autentica, libera da giochi di potere e manipolazioni.
E qui mi sorge una riflessione amara, che va oltre la semplice dinamica uomo-donna. Osservo spesso un malsano imperativo sociale che spinge l’uomo a “provarci” con chiunque si presenti come una “marionetta in vetrina”, quasi fosse un dovere, un’affermazione di virilità. Un atteggiamento che denota non solo un’arroganza maschilista, ma anche una totale mancanza di empatia e di comprensione del “pensiero di genere”. Questo vale anche per le donne, costrette ad essere sempre “presentabili”, vestite o svestite secondo il contesto in un certo modo, in “quel” modo, pena l’essere violentata verbalmente.
Perché nella nostra società, purtroppo, i ruoli sono ancora rigidamente definiti: i maschi devono comportarsi da “machi” e le femmine da “dee” da conquistare. E guai a uscire da questi schemi!
Ma dov’è la libertà in tutto questo? Dov’è il rispetto per l’individualità?
Forse, prima di cercare la “metà della mela”, dovremmo imparare a stare bene con noi stessi, a coltivare la nostra individualità, a liberarci da stereotipi e aspettative. E soprattutto, a guardare oltre le apparenze, cercando la vera connessione umana al di là dei ruoli di genere.
Solo così potremo costruire relazioni autentiche, basate sul rispetto reciproco e sulla libertà.
Eppure, ogni tanto ci riprovo. Cerco di essere sociale, di aprirmi agli altri, di dare una chance a nuove conoscenze. Ma puntualmente mi ritrovo in situazioni dove, forse inconsciamente, l’antagonista di turno (uomo o donna che sia) inizia a tessere la sua tela, cercando di manipolarmi, di plasmarmi secondo i suoi desideri. Come se la relazione non potesse essere un flusso libero e istintivo, senza prospettive predefinite, ma dovesse per forza seguire un copione già scritto. E soprattutto, come se fosse impossibile fermarsi ad ascoltare, a comprendere la natura, sempre diversa e sorprendente, dell’altro.
Forse sono io che sono troppo selettivo, troppo diffidente. O forse, semplicemente, non ho ancora incontrato qualcuno che abbia voglia di danzare con me fuori dagli schemi, in una sinfonia di libertà e autenticità …
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